Clinica e consulenza transculturali

Una clinica e una consulenza transculturali ad ispirazione etnopsichiatrica possono essere molto utili nei casi di coppie miste, adozioni, individui o famiglie migranti, nelle scuole e altre istituzioni… quando la ‘cultura’ è elemento centrale.

La società contemporanea è ormai definitivamente costruita su un versante multiculturale. Anche se in ritardo rispetto a paesi europei come la Francia, Germania, Inghilterra, o extraeuropei come gli Sati Uniti di America e il Canada, anche il nostro paese sta assistendo negli ultimi decenni ad una trasformazione sociale e culturale nella direzione della pluralità e della molteplicità.

Migrazioni di individui, coppie e famiglie provenienti da altrove geografici e culturali, che costruiscono o rifondano nel nostro paese le loro esistenze e le loro famiglie.
Istituzioni scolastiche e servizi educativi che sono abitate da bambini e ragazzi dalle molteplici origini.

Coppie miste, impegnate nel mettere insieme culture familiari ma anche riferimenti religiosi, origini territoriali, lingue e linguaggi diversi tra loro.
Famiglie di origine italiana che adottano figli nati altrove, e che portano spesso anche sul corpo il segno di una diversità rispetto ai genitori adottivi.

 

Questi solo alcuni esempi importanti sui quali il Centro Thesis offre le proprie attività e le proprie competenze. In particolare sul versante di:
una clinica transculturale ad ispirazione etnopsichiatrica e una consulenza transculturale ad ispirazione etnopsichiatrica
… facendo della cultura un perno e una leva fondamentale per innescare processi di trasformazione e cambiamento.

Ciò non vuol dire stigmatizzare e ridurre alle appartenenze culturali delle origini il senso e il significato di ciò che accade ad una persona o ad una famiglia. Non vuol dire confinare l’individuo entro un territorio stretto e inesorabile di un eterno ritorno al passato.
Si tratta, invece, di riprendere in chiave transculturale e etnopsichiatrica un fondamentale principio sistemico: ovvero che nessuno di noi esiste nel completo isolamento, che tutti noi viviamo appartenendo a gruppi sia originari che nuovi (tra filiazione e affiliazione), che un territorio e un luogo ci costruiscono come esseri umani situati nel mondo. Base dalla quale partiamo per le nostre future esplorazioni.

Un approccio di questo genere, quindi, permette di indagare le molteplici lealtà in gioco: da quelle familiari e quelle culturali. Permette di costruire insieme al paziente o alla famiglia un percorso che tenga conto delle matrici culturali, compresa la lingua, e che contribuisca a trovare una soluzione coerente che possa essere efficace ed adeguata anche rispetto agli impliciti e agli attaccamenti culturali.

 

Le attività del Centro Thesis in questa direzione si rivolgono a:
privati che vogliano intraprendere un percorso che tenga conto della ‘cultura’ come elemento fondamentale, come risorsa e meglio ancora come leva clinica del cambiamento e della trasformazione. Parliamo, quindi, di consultazioni psicologiche, psicoterapia individuale, terapia di coppia, terapia familiare ad orientamento transculturale e ispirazione etnopsichiatrica. Laddove richiesto o necessario sarà possibile costruire setting di terapia pensati ad hoc che permettano l’inserimento della professionalità di un mediatore linguistico-culturale.
strutture e istituzioni che vogliano richiedere consulenze, interventi o supervisioni a loro situazioni interne che mettono in gioco le diversità culturali, il confronto tra culture, la coesistenza di modelli molteplici e plurimi (ad esempio, in ambito scolastico, organizzazioni pubbliche o private nelle quali lavorano équipe multiculturali).
È sempre possibile contattare il Centro Thesis per esporre la propria problematica, o questione, o idea e ricevere un parere e un’indicazione in merito, che tenga conto dei presupposti appena enunciati.

 

Contattaci per mail o per telefono se cerchi uno psicologo e uno psicoterapeuta a Lucca, se sei interessato ad avere notizie o prendere un appuntamento per una psicoterapia individuale, una psicoterapia di coppia o una terapia familiare.

Possiamo inoltre valutare insieme la necessità di percorsi specifici come la mediazione familiare o interventi che utilizzino un approccio transculturale.

Il Centro Thesis è disponibile a collaborare con colleghi o professionisti di altre discipline nella realizzazione di progetti o attività che richiedono un lavoro multidisciplinare e multi professionale.

 


 

APPROFONDIMENTO

LO SGUARDO DELLA CLINICA TRANSCULTURALE AD ISPIRAZIONE ETNOPSICHIATRICA

Selezione di citazioni dal seguente contributo: Da Prato M., Inglese S., Alderighi F., Casadei F., Cardamone G., Zorzetto S., Bracci F., “Elementi di etnopsichiatria. Sintesi condivisa per la promozione della salute mentale comunitaria in una società multiculturale”, in Di clinica in lingue. Migrazioni, psicopatologia, dispositivi di cura, realizzato da HARRAG – Gruppo di Ricerca per la Salute Mentale Multiculturale, Edizioni Colibrì, Paterno Dugnano, Milano, 2007.

harrag imago copertina

“Consideriamo l’etnopsichiatria un sistema di intervento sul reticolo delle appartenenze (affiliazioni) dell’individuo ai gruppi sociali che ne generano le proprietà singolari e modali; un sistema intelligente, sensibile, mobile, dotato di un’intenzionalità che mira all’intreccio coerente di teorie e pratiche di cura e trasformazione della persona (sia quelle utilizzate dal professionista che dal paziente). Secondo questa concezione la persona può essere pensata soltanto in funzione delle appartenenze multiple ad organismi collettivi vitali che la sostanziano nella sua stessa identità e dimensione esistenziale; pertanto, l’individuo è affiliato, aggregato, inscritto in un gruppo connotato da matrici differenziali specifiche (linguistiche, culturali, psicologiche)” [p.157-158]

“L’etnopsichiatria clinica si occupa dei flussi che fabbricano uomini e donne in ogni parte del mondo anche per mezzo di architetture rituali complesse e sottili; delle intenzioni razionali soggiacenti a tali architetture; dei vincoli esistenti tra umani e non umani nel corso delle loro vicende in comune, oltre che delle fratture sempre imminenti in relazioni siffatte. Durante l’intervento clinico viene indagata la natura peculiare del paziente, contrastando i modelli nosologici che scansionano queste creature in categorie epidemiologiche costruite su base statistica. Quest’ultima operazione compie la saldatura del sintomo sulla persona che viene così separata dai propri simili e trasformata in oggetto subalterno alla sovranità degli esperti, deposto al di fuori del suo collettivo sociale (Nathan, Stengers, 1996). L’etnopsichiatria, invece, considera la persona sofferente come un collaboratore esperto da arruolare in una comune ricerca. Il tecnico clinico e sociale cooperano insieme a lui per scambiare visioni teoriche (spesso conflittuali) e per ingaggiare un contraddittorio pubblico a cui invitare l’intero mondo oggettuale del paziente. In questa pratica sono importanti non solo i sintomi, le sindromi e le strutture personologiche ma, soprattutto, l’azione dei prodotti distintivi della sua realtà culturale (lingue, ecologie sociali e familiari, regole matrimoniali e genealogie, testi sacri, orazioni e preghiere, tecniche e strumenti divinatori, concezioni nosologiche e cosmogonie). Appartenendo al proprio gruppo, il paziente calca la scena clinica come attore principale del dispositivo, come ricercatore aggiunto” [p.159].

“Interessandosi ai gruppi umani reali, lo sguardo etnopsichiatrico si rivolge alle appartenenze e agli oggetti concreti sui quali aderisce l’istanza di attaccamento culturale e psicologico, espressa da un individuo nei confronti del proprio collettivo” [p.160].

“Il dispositivo etnopsichiatrico considera la mediazione etnoclinica come perno intorno a cui far ruotare il riconoscimento delle affiliazioni che innervano l’organizzazione generale e specifica di ogni gruppo umano. Nel lavoro con individui, famiglie e popolazioni migranti la funzione di mediazione si misura con l’alterità culturale situando la lingua al centro di ogni possibile discorso trasformativo. (…) Immaginare un setting clinico nel quale il paziente venga invitato a usare la propria lingua matrice (o una di esse, quando la storia sociale del suo gruppo ne ha moltiplicato il numero; es., discendenze da parentalità multietnica, multinazionale o multilinguistica) determina un fenomeno della massima importanza: la presentificazione del gruppo e del mondo da cui proviene il paziente. Lo scambio in lingua originaria sprigiona un effetto di comprensibilità non solo nei confronti del locutore individuale ma del collettivo sociale di cui diventa il primo tenore. Al tempo stesso, questo protagonista accetta la condivisione (spesso conflittuale) della scena con un deuteragonista (mediatore culturale) il cui atto linguistico inaugurale (parlare l’identica lingua) crea il mondo del paziente. Questo mondo incomincia ad esistere anche per coloro i quali ne erano dapprima estranei ma che ora ne sono interessati. In un simile contesto operatorio il gruppo eterogeneo dei terapeuti si trova attivamente interposto tra il paziente e il suo mondo e si incarica di testimoniarne la dinamica nello spazio pubblico dell’attività clinica (comunque protetta dalle regole della deontologia professionale). Il gruppo terapeutico perturba gli impliciti della suddetta dinamica per trasformarne gli aspetti disfunzionali che si irradiano anche su quella istituita tra il paziente e il mondo adottivo sostanziando, in definitiva, il conflitto strutturale e permanente tra mondo originario e società d’adozione.

Tutto questo possiede un grado di complessità interattiva superiore a quello fondato sulla riduzione degli scarti comunicativi, provocati dalla barriera linguistica, che si potrebbe ottenere grazie alla semplice traduzione di significati da una lingua all’altra (concezione strumentale o funzionale dell’interpretariato). La mediazione etnoclinica non è, primariamente o esclusivamente, una facilitazione della comprensione dei discorsi pronunciati in una lingua straniera ma è il tentativo di conoscere come significati specifici vengono assegnati dalla macchina impersonale (cultura) che ha messo a punto l’individualità del paziente. La mediazione in lingua interviene sul modo in cui la traduzione viene operata da tutti i partecipanti al rapporto clinico (anche da quelli assenti e lontani). Essa non effettua solo una traduzione ma si occupa del modo stesso del tradurre da parte dei diversi attori del dispositivo” [p. 161-162].

“Per catturare nel dispositivo il mondo del paziente non basta installarvi come primo attrattore l’oggetto-lingua ma occorre rimontare i principali componenti materiali e immateriali (oggetti culturali) che consolidano l’universo del paziente in quanto sistema sociale organizzato secondo un ordine. A questo scopo, il mediatore deve attualizzare la prerogativa di alimentare il funzionamento del dispositivo apportando gli elementi indispensabili alla costruzione della risposta terapeutica. Tale opzione contiene implicazioni tecniche rilevanti: il paziente riconosce nel mediatore un secondo rappresentante del proprio vissuto originale insieme a cui viene accolto nel meccanismo d’interazione” [p. 163].

“Possiamo riconoscere (…) gli esiti principali dell’etnopsichiatria su almeno tre livelli provvisori:

  1. Critica degli apparati disciplinari storicamente consolidati (psichiatria, psicologia, psicoterapia) che si adoperano al trattamento dei migranti (azioni tecniche puntuali). Questa considerazione colpisce anche l’attuale organizzazione dei servizi sociosanitari (architettura di sistema) nonché i costrutti conoscitivi dei centri di sapere e consenso frequentati dalle comunità scientifiche o dalle corporazioni professionali.
  2. Ridefinizione della posizione dell’individuo sofferente e riconoscimento della sua forza, consistente nelle pressioni esercitate attraverso di lui dal suo stesso mondo che si affacciano e avanzano, interrogando e modificando non soltanto i dispositivi clinici ma una certa visione di sé, degli altri e del contesto ospitante.
  3. Individuazione del mediatore etnoclinico quale porta di accesso al superamento della diade clinica e al transito verso nuovi processi di negoziazione tecnica e culturale – postura di diplomazia clinica e politica entro uno scenario interattivo dove tutti i partecipanti sono interpellati e indotti a prendere posizione. Questa inclinazione permette, tra l’altro, di puntare al riequilibrio delle disparità di potere ancora esistenti quando l’incontro clinico perpetua l’asimmetria tra una parte forte (apoteosi del medico ed egemonia dell’istituzione; Deleuze, 1987) e una debole (paziente interdetto, cultura subalterna, saperi assoggettati; Foucault, 1968)” [p. 163-164].

“Possiamo adesso concludere affermando che la piattaforma di base della metodologia proposta prevede almeno quattro transiti:

  1. Dinamica dell’osservazione: qualunque intervento terapeutico (influenzante la trasformazione di un persona inclusa in un contesto sociale) deve discendere da un tipo di osservazione che impedisca di pensare il paziente in funzione di categorie precostituite, funzionanti come una sorta di a priori della relazione clinica che rimuove gli elementi specifici e originali effettivamente in gioco.
  2. Postura dell’osservatore: l’osservatore deve impegnarsi nel riesame critico dei modelli di funzionamento mentale adottati nella pratica clinica. Ciò richiede un lavoro approfondito di decostruzione delle categorie che hanno fissato il modo di concepire l’oggetto di studio, riscoprendo l’archeologia dei saperi (Foucault) che hanno “messo in forma” la realtà per mezzo di strumenti specifici.
  3. Analisi delle tecniche operatorie: la ricerca clinica dovrebbe dirigere la propria attenzione sulle azioni del terapeuta (opzione pragmatica) e non solo sulla presunta “essenza” del soggetto o sulla “sostanza” della patologia (opzione naturalistica). Occuparsi dei sistemi terapeutici (dispositivi pervasivi e sempre in funzione), degli oggetti attivi, delle logiche tecniche e di tutto quanto, in sintesi, contribuisce a costruire quello specifico individuo (fabbricazione culturale) è una “proposta razionale e, soprattutto, realmente materialista” (Nathan, 2001).
  4. Co-emergenza individuo-gruppo sociale e culturale: la scena clinica non è occupata dal solo paziente perché su di essa viene fatto comparire il suo gruppo insieme alle articolazioni strutturali e ai rappresentanti funzionali del suo sistema sociale. Questa moltiplicazione di soggettualità permette che l’insieme individuo-gruppo sia protagonista, collaboratore e valutatore critico delle teorie nonché delle azioni attualizzate nell’ambito delle scienze del comportamento. Una simile strategia di ricerca pratica sembra efficace per sottoporre a verifica scientifica la conoscenza applicata anche per mezzo di uno scambio incessante di ruoli tra ricercatori, esperti, destinatari e beneficiari dell’intervento clinico all’interno di uno spazio interattivo circolare.

Sull’estensione di questa mappa il lavoro clinico si misura con un’autentica sfida disciplinare e sociale, ben al di fuori del limite ristretto del cabinet per proiettarsi verso spazi vissuti più dilatati fino ad attraversare i mondi molteplici (multiverso) abitati dal genere umano” [p. 166-167].

 

Così delineato, l’intervento clinico ad ispirazione etnopsichiatrica si configura come un intervento altamente complesso e specializzato.

Ma è anche un intervento che deve essere caratterizzato da flessibilità e adattabilità, capace di essere calibrato in funzione non soltanto delle specifiche esigenze ma anche delle ‘possibilità’ reali. Un esempio eclatante interessa la figura del mediatore etnoclinico che, in molti contesti di lavoro, rimane una sponda ideale alla quale solo ispirarsi per far funzionare un dispositivo di mediazione e traduzione il più efficace possibile.

 

È quindi di fondamentale importanza saper operare delle scelte consapevoli, guidare i processi clinici in modo cauto ma efficace, saper utilizzare al meglio le risorse presenti salvaguardando i soggetti coinvolti nella consultazione e calibrando l’intervento in funzione degli obiettivi realisticamente raggiungibili.


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